Lessico
Il
gallo di Ermanubi
il primo pollo color zafferano
Brabanter o Brabantea fulva testa nera
Il gallo, con la sua testa nera,
avrebbe fatto arricciare il naso a Ermanubi.
In greco
per designare il tuorlo dell'uovo - che è indubbiamente giallo, anche se con
tonalità che variano fisiologicamente dal giallo-verde al croceo - si usa l'aggettivo ὠχρός (pallido, giallastro, come quando un soggetto è anemico), sostantivizzato nel neutro ὠχρόν: τὸ ὠχρόν
τοῦ ᾠοῦ - il giallo dell'uovo, Aristotele
Historia animalium 560a 21:
"Il giallo e il bianco dell’uovo hanno natura opposta non solo per il colore ma anche per le loro proprietà. Il giallo infatti viene coagulato dal freddo, mentre il bianco non si coagula, anzi tende piuttosto a liquefarsi; sotto l’azione del fuoco il bianco coagula, il giallo no, anzi rimane molle a meno che non venga interamente bruciato, e viene condensato e disseccato più dalla bollitura che dal fuoco vivo."
L'aggettivo
greco χλωρός in prima istanza significa
verde-giallo o verde-pallido, verdeggiante, verde, e la clorofilla è appunto
verde. Solo in seconda istanza significa giallo, e nelle vesti di sostantivo
neutro indica il giallo dell'uovo: ᾠοῦ τὸ
χλωρόν - il giallo
dell'uovo, come era
solito esprimersi il medico Zopiro citato da Oribasio.
Il vocabolo greco fu usato nel 1810 da Sir Humphry Davy (Penzance 1778 -
Ginevra 1829) per battezzare un elemento gassoso a tutti noto – il cloro –
che è giallo-verde.
L'aggettivo
ὠχρός ha dato origine all'italiano ocra, termine generico usato per indicare
due minerali di ferro nella forma terrosa, l'ematite
e la limonite
,
rispettivamente di colore rosso (ocra rossa) e di colore giallo (ocra gialla).
Finemente macinata, l'ocra viene utilizzata come pigmento per colori e
vernici. Mischiata con sostanze grasse, fu usata in età preistorica - e lo è
tutt'oggi presso tribù primitive - per tingersi il corpo e il volto.
In greco
esiste un aggettivo per indicare in prima istanza il colore biondo o fulvo. Si
tratta di ξανθός, che viene per lo più impiegato per i capelli, talora per la criniera
dei cavalli e per il miele, molto raramente per la criniera fulva del leone,
che solo dal poeta Oppiano di Apamea
fu etichettato come ξανθοκόμης, cioè dalla chioma bionda o, se vogliamo, dalla
fulva criniera.
Però
grazie al Professor Antonio Garzya è stato possibile appurare che il
geoponico Florentino
(prima
metà del III sec. dC) si servì di ξανθός anche nel caso della livrea del pollo, e
precisamente - come vedremo tra poco - quando fornì le caratteristiche
fenotipiche delle galline più feconde: "generalmente
lo sono quelle di colore fulvo". Una caratteristica cromatica espressa da Florentino con αἱ
ξανθίζουσαι, nominativo femminile plurale del participio presente del verbo ξανθίζω, derivato ovviamente da ξανθός.
Questo
aggettivo, che incontriamo nel termine xantofilla (il carotenoide
giallo presente nelle foglie, ma che fino all'autunno resta celato dalla verde
clorofilla), come tanti altri suoi colleghi di cromatologia antica possiede in
seconda istanza molteplici significati, spesso discordanti: giallo-verde,
verdastro, verde pallido, fino a significare biancastro, come dimostra
Teofrasto
nel suo trattato sulle pietre.
Xanthium
italicum – Lappolone – Compositae
Elio Corti - 1972
Dioscoride
(IV,133) consigliava l'uso dello ξάνθιον per tingere di biondo i capelli: si tratta del
lappolone – Xanthium italicum – i cui semi, conformati a oliva,
prima di seccare sono biondicci e già armati di uncini, noti agli amanti di
passeggiate ecologiche, perché, essendo il lappolone una pianta zoofila, si
appiccicano tenecemente ai vestiti e al pelo del cane che ci accompagna,
assicurando così la disseminazione a distanza quando ripuliremo sia lui che
gli abiti.
da Pierandrea Mattioli
Commentarii in libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei De Materia Medica
Venetiis, apud Valgrisium,
1554
Nel pollo
il gene dominante responsabile del biondo champagne,
un colore che richiama quello del lappolone, entra nella formula del piumaggio
fulvo, ma solo in dose singola, in quanto i soggetti omozigoti risultano poco
vitali. Per cui, anche se l'azione del gene Cb (champagne blond
- trovato per esempio nella Minorca fulva) sembra necessaria per diluire la
feomelanina in modo uniforme, è assai verosimile che non fosse presente nei
polli fulvi dell'antichità, salvo lo fosse per caso o di straforo, in quanto
i soggetti omozigoti a un certo punto soccombevano. E a quei tempi non era
ancora certo giunto il momento di giocherellare come oggi con eterozigosi e
omozigosi: gli antichi dovevano produrre polli da combattimento e da tavola,
oppure ottime ovaiole, e basta.
Ξάνθος, che per puri motivi di accento sembrerebbe non aver nulla a che fare
con ξανθός, credo invece abbia molto da condividere con questo aggettivo. Ξάνθος è il nome di diversi fiumi così chiamati
nell'antichità, il più famoso dei quali fu lo Scamandro, detto anche Xanto,
che col Simoenta - nati ambedue dal Monte Ida oggi Kazdag - lambiva Troia. E
potremmo fare un'illazione: magari uno Ξάνθος aveva spesso le acque gialle, come il cinese Fiume
Giallo (Hwang Ho) che trasporta enormi quantità di detriti, tra cui il
giallastro löss,
tanto da tingere di giallo, insieme ad altri fiumi minori, anche il mare in
cui sfocia: il Mare Giallo (Hwang Hoi), un settore di ben 417.000 km2 dell'Oceano Pacifico a nord del Mar Cinese
Orientale.
Quel che
è certo è che ξανθός non venne mai usato per esprimere una livrea biondo
champagne. Il veto era puramente biologico e di origine genetica. È assai
probabile che Florentino abbia usato il verbo ξανθίζω con lo stesso significato espresso da Plutarco
attraverso il sostantivo maschile κροκίας, cioè, color zafferano e non biondo champagne.
Per
indicare una livrea fulva del pollo - più precisamente una livrea color
zafferano
- solo in Plutarco
(ca. 46 - ca. 125) troviamo il sostantivo maschile κροκίας. Egli è l'unico autore a riferire con questo termine la colorazione del
piumaggio di un pollo che ancora nel II secolo dC veniva immolato a Ermanubi
.
E siccome
Ermanubi fu partorito poco dopo che Alessandro Magno
prese possesso dell'Egitto (332 aC), possiamo dedurre che questa colorazione
del piumaggio - e tutti i relativi geni implicati - fosse già presente nel
mondo egiziano qualche secolo prima che Plutarco ne parlasse.
Per inciso
ricordiamo che pare essere stato il faraone Taharqa
- della XXV dinastia, morto nel 664 aC - a favorire in Egitto l'avicoltura che
si trasformò in fonte di reddito nazionale. A questo periodo risalgono i
famosi megaincubatoi
che ai tempi di Réaumur
(1683-1757), più precisamente intorno al 1750,
sfornavano circa 93 milioni di polli l'anno. Ma J. B. Coltherd (The domestic fowl in
ancient Egypt, Ibis n° 108, 1966) è più dell’avviso che i primi veri tentativi di un allevamento
intensivo del pollo nella Valle del Nilo vadano datati ai tempi dei Saiti
(quando Sais, situata sul ramo di Rosetta del Delta del Nilo, fu capitale del
regno dal 663 al 525 aC durante la XXVI dinastia, detta appunto saita o
saitica) o, più probabilmente, che vadano datati ai tempi dei Tolomei
.
Aristotele
non menzionò mai polli dalla livrea fulva nel mondo greco, né lo fecero per
il mondo romano Catone,
Varrone
,
Plinio
e Columella
;
solo più tardi li menzionò Palladio
(IV sec. dC) in Opus agriculturae
libro I, XXVII (De gallinis) parlando telegraficamente delle galline: “Sint
praecipue nigrae, aut flavi coloris, albae vitentur.”, cioè, siano
soprattutto nere, o di colore giallo (giallo vivo, giallo oro, aranciato,
biondo), si evitino quelle bianche.
Appena prima di Palladio - ma per l'area greca, e circa un secolo e mezzo dopo Plutarco – fu Florentino a parlare di polli fulvi - αἱ ξανθίζουσαι, come segnalato dal Professor Antonio Garzya - e ce ne dà notizia Gessner a pagina 424 della sua ornitologia (1555):
Gallinas educaturus eligat foecundissimas: quas nimirum ex usu rerum et experientia dignoscet: im<m>o vero ex pluribus aliis indiciis. In universum enim quae colore flavescunt, et sortiuntur digitos impares, quaeque magna possident capita (τὰς ὄψεις μεγάλας, oculos magnos, Cornarius) cristamque erigunt: nec non nigriores et corpulentiores. Eae omnes gallinae facile mares ferent: multo erunt praestantiores ad partum, ova maxima {a}edent: ac breviter, generosos excludent pullos, Florentinus.
Chi dovrà allevare delle galline scelga le più
feconde: senza dubbio sarà in grado di riconoscerle in base alla pratica e
all’esperienza: anzi, in base a numerosi altri indizi. Infatti generalmente
lo sono quelle di colore fulvo, e che ricevono in sorte le dita
dispari, e quelle che hanno la testa grande (tàs ópseis megálas, gli
occhi grandi, in base alla traduzione di Janus Cornarius)
e che tengono la cresta dritta: nonché quelle che sono di colore più scuro e
che sono più corpulente. Tutte queste galline sopporteranno facilmente i
maschi: saranno di gran lunga superiori riguardo alla deposizione, faranno
delle uova molto grandi: e in breve volgere di tempo daranno alla luce dei
pulcini di buona qualità, Florentino.
Non è questo il momento di entrare in polemica con
Gessner e con Cornarius, secondo i quali Florentino avrebbe affermato che le
galline di razza si distinguono per avere la testa grossa (Gessner) o gli
occhi grossi (Cornarius). Per i dettagli circa l'esatta interpretazione del
testo di Florentino si veda quanto specificato nel lessico.
Per il gallo di Ermanubi era in ballo un piumaggio croceo, color croco, cioè color zafferano - tra il giallo e il rosso - o, come puntualizza Filippo Capponi in Per un lessico tecnico pliniano (1991), un giallo che tende al rosso. Plinio usò l'aggettivo croceus parlando della starna (come Capponi consiglia di emendare in X,134: Est et alia nomine eodem, a coturnicibus magnitudine tantum differens, croceo {unctu} <tinctu> cibis gratissima.), ma giammai usò croceus a proposito di una livrea del pollo.
Quindi si
può presumere che per il gallo di Ermanubi si trattasse di una colorazione già
presente nei polli egiziani, ma ignota fino al IV secolo dC in quelli romani,
come possiamo desumere da Palladio. Per Florentino possiamo supporre che egli
conoscesse la pentadattilia
del pollo in quanto dal Nordeuropa questa mutazione aveva raggiunto Roma e poi
la Grecia, ma forse i suoi polli fulvi avevano prima raggiunto il mondo greco
e poi quello romano provenendo dall'Egitto.
Κροκίας deriva da κρόκος che
significa zafferano (Crocus sativus), e se il sostantivo κρόκος viene usato da Alessandro di Tralles
(527-565) col significato di tuorlo d'uovo, per il lessicografo Esichio di
Alessandria
(V sec dC) κρόκος corrisponde
al gallo con il collo color zafferano, quindi un gallo rosso-nero tipo Gallus
gallus oppure un gallo con mantellina – e con la sola mantellina - color
arancio per diluizione del rosso grazie al gene dell'argento.
Quindi il κρόκος di Esichio non identifica un gallo interamente color zafferano come accade invece per κροκίας di Plutarco. Già alcuni secoli prima del lessicografo alessandrino il nostro Columella in De re rustica VIII,2,9 parlava come lui di mantellina fulva, ma solo di mantellina e non di tutta quanta la livrea: iubae deinde variae vel ex auro flavae, per colla cervicesque in umeros diffusae - piume del collo variegate o dorate tendenti al giallo, che si diffondono per tutto il collo fino alle spalle.
In italiano non abbiamo l'abitudine di dire piumaggio croceo (giallo tendente al rosso, come puntualizzato da Capponi) ma parliamo di piumaggio fulvo, aggettivo derivato dal latino fulvus che significa colore biondo o giallo rossiccio tipico della criniera del leone. Quindi, se non vogliamo esaurire i nostri poveri neuroni, possiamo trovare un concordato: dire croceo o dire fulvo o dire leonino è la stessa cosa, come dimostra il linguaggio catalano nel definire la colorazione della razza del Prat: Catalana del Prat leonada. E i Francesi dicono fauve.
Tanto per portare due esempi sull'uso di fulvus per designare il colore del leone, ecco due famosi poeti latini:
Virgilio
Georgiche IV,408: fulva cervice leaena – la leonessa dal collo fulvo.
Lucrezio
De rerum natura 5,901: corpora fulva leonum – i corpi fulvi dei
leoni.
Gli anglofoni – e anche gli Olandesi - per identificare il piumaggio fulvo usano l'aggettivo buff – color camoscio - che deriva dal sostantivo buff corrispondente alla pelle del bisonte americano, detto buffalo (Bison bison), il povero bovide imparentato con buoi e bufali che immortalò Buffalo Bill – alias William Frederick Cody (contea di Scott, Iowa, 1846 - Denver, Colorado, 1917) – il quale si impegnò a rifornire gli operai della ferrovia del Pacifico di carne di bisonte: sosteneva di aver ucciso più di 4.000 bisonti - in americano buffalo - in meno di diciotto mesi.
In tedesco la colorazione fulva è detta molto semplicemente gelb, cioè gialla.
A questo punto spero vi stiate domandando come mi sia stato possibile incappare nel testo di Plutarco relativo al pollo color zafferano immolato a Ermanubi. State pur certi che non mi sono mai preso né mai mi prenderò la briga di leggere per intero Iside e Osiride, una delle opere che compongono la collezione dei Moralia di Plutarco.
Il merito è tutto di Gessner, e per riflesso di Aldrovandi.
A pagina 402 di Historia animalium III (1555) il grande medico zurighese comincia a titillare la nostra curiosità adducendo le citazioni di Esichio e Plutarco:
Κρόκος, τὸ
κροτόν, (mendum est forte:) et
gallinacei qui collum habent eiusmodi, (croceis vel aureis iubis
scilicet ornatum,) κρόκη,
Hesych. et Varinus. Gallus κροκίας
Hermanubidi immolabatur, Plutarchus. |
Krókos
– zafferano, tò krotón (forse questo è un errore): sono
pure dei galli che hanno il collo di questo colore (cioè il cui
collo è ornato da mantelline color zafferano oppure color oro), krókë
– mantello, Esichio e Guarino. A Ermanubi veniva immolato un gallo
krokías – color
zafferano, Plutarco. |
A pagina 407 Gessner è più dettagliato:
Aldrovandi fa le stesse citazioni di Gessner, rispettivamente a pagina 188 e 256 del II volume di Ornithologia (1600).
Quindi: tutti i geni implicati nel piumaggio fulvo – con le opportune limitazioni per il gene Cb - erano già presenti in polli egiziani durante il periodo ellenistico, quando sbocciò Ermanubi.
Buff
Cochins
Il gallo non avrebbe fatto arricciare il naso a Ermanubi.
L'immagine è dovuta al talento artistico di J. W. Ludlow
ed è contenuta in The Illustrated Book of Poultry (1890) di Lewis
Wright (1838-1905).